Festival Piana del Cavaliere. Hossein Pishkar e l'Orchestra Filarmonica "Vittorio Calamani"
Probabilmente nessun lettore avrà mai sentito parlare del Festival della Piana del Cavaliere, di Hossein Pishkar e dell’Orchestra Filarmonica Vittorio Calamani e sinceramente devo ammettere che ad eccezione del nome di Pishkar tutto ciò era ignoto anche a me. Tuttavia la curiosità di capire perché in un paesino del nord della Sabina ci fosse un Festival con masterclass e concerti e addirittura un’orchestra filarmonica under 35 mi ha spinto alle porte di ferragosto a raggiungere questo luogo in provincia di Rieti per il concerto conclusivo del Festival. Trasferito quest’anno dalla provincia de L’Aquila, dove geograficamente è collocata la Piana del Cavaliere, alla Sabina per motivi logistici il Festival giunge alla terza edizione grazie al supporto di un illuminato mecenate: l’Ingegner Stefano Calamani. Con questa edizione la Direttrice Artistica Anna Leonardi insieme all’ingegnere hanno deciso di alzare l’asticella e di fondare ex novo un’orchestra under 35 inizialmente per un grande concerto sinfonico a conclusione del festival ma anche per alcuni progetti futuri già in cantiere. A rendere ancora più interessante il tutto la presenza di Hossein Pishkar trentenne direttore d’orchestra iraniano, da sette anni stanziato in Germania, che ha avuto tra i suoi maestri Bernard Haitink e Riccardo Muti. Il programma accosta, come spesso accade, Franz Joseph Haydn a Robert Schumann: nello specifico la Sinfonia n.89 in fa maggiore, l’ultima scritta da Haydn ad Esterháza prima delle tre commissionate dal Conte d’Ogny e delle cosiddette sinfonie londinesi, e la Quarta Sinfonia in re minore op.120 di Schumann.
Il concerto, previsto all’aperto nella piazza di Configni, gode di una fortunata serata di fresco bel tempo che invoglia il pubblico a partecipare numerosissimo: poco più di trecento le persone attese ma quasi quattrocento le persone presenti in piazza. Subito alle prese con il delicatissimo Haydn la Filarmonica Calamani dimostra una buona coesione e omogeneità. Dal canto suo la lettura di Pishkar è coloratissima, varia nelle dinamiche e nel fraseggio riportando il compositore verso quella estrosità che gli veniva additata dai suoi contemporanei e liberandolo completamente da quella patina di noia che lo aveva adombrato in anni di esecuzioni approssimative e superficiali. I legni dell’orchestra, salvo un’imprecisione del primo flauto nel Menuetto e di qualche normale impuntamento dei corni, si comportano molto bene avendo spesso delle parti scoperte. La cosa che però maggiormente stupisce è l’attenzione e il silenzio surreale in cui tutto ciò avviene, ormai cosa rarissima e apprezzata soprattutto dai musicisti impegnati nell’esecuzione. Anche nelle improvvise pause, nei momenti di sospensione con funzione umoristica del quarto movimento non scatta mai un applauso e anche dopo l’accordo conclusivo rimaniamo tutti immobili ascoltando il suono allontanarsi e disperdersi tra le montagne della Sabina. Nella seconda parte la più sostanziosa Quarta Sinfonia di Robert Schumann: si aggiungono all’organico di Haydn un flauto, due clarinetti, due corni, due trombe, tre tromboni, i timpani e una decina di archi. Si tratta in realtà della seconda sinfonia in ordine di composizione anche se dopo una lunga e articolata revisione venne pubblicata come Quarta ben dieci anni dopo la prima stesura. La grande compattezza ed unitarietà di questa sinfonia sia dal punto di vista strutturale che tematico mettono sia Hossein Pishkar che l’orchestra davanti ad una bella sfida. Il risultato è sinceramente stupefacente, al netto di qualche pecca dal punto di vista strumentale più che trascurabile visto che l’orchestra ha meno di una settimana di vita.
L’approccio del direttore iraniano è molto interessante e cerca di ripulire Schumann da tutta una serie di torti esecutivi che vanno sotto il nome di “tradizione” per la quale Schumann, si studiava e spero non si studi ancora sui manuali di Storia della Musica, era considerato un pessimo orchestratore e aveva bisogno di qualche rimaneggiamento per “suonare” meglio alle nostre orecchie. Senza addentrarsi in lunghe disquisizioni tecniche Pishkar adotta tempi agili e arcate leggere eliminando quella pesantezza e grandiosità che spesso fa erroneamente assomigliare Schumann a Bruckner. Tutto scorre in modo molto naturale e senza soluzione di continuità da un movimento all’altro con un chiaro senso della struttura e della drammaturgia della partitura. Questa naturalezza non va a scapito della profondità umana e spirituale di questa pagina sinfonica che passa in primo piano nel secondo movimento, notevole il solo del primo oboe, e nella misteriosa transizione tra Scherzo e quarto movimento diretta con un tempo assai contrastante per lentezza rispetto all’agilità del resto della sinfonia. Il gioioso finale scorre veloce nonostante qualche imprecisione nell’intonazione degli archi acuti. Bene invece in corni nell’episodio fugato dello sviluppo e nella coda luminosa e travolgente che porta a conclusione questo concerto. Grande apprezzamento da parte del pubblico per questa promettente e neonata orchestra italiana.
Luca Di Giulio | CdClassico.com